Maria isabella S. (1898)
53 anni, vedova, contadina, Castilenti, cattolica, analfabeta, DEMENZA SENILE, entra nel marzo 1896, muore nell’aprile 1898 per antrace diffuso della nuca.
Larga eredità psicopatica. Pazzo il padre, un fratello che ha procreato a sua volta figli pazzi, una sorella epilettica.
Pare che la malattia sia scoppiata improvvisamente con tendenze al girovagare ignuda dandosi ad ignobili satiri. Dopo ciò si avevano periodi di tregua, in cui mostrava pentimento del mal fatto. Presentemente è calma, depressa, qualche volta scandisce le parole.
Deficiente sviluppo del senso morale. Prima di andare a marito si prostituì in modo morboso.
Notizie Ammissione Mentecatti in Manicomio
Abitazione mal condizionata igienicamente. L’inferma solo dai primi di agosto trovasi di ritorno in questo comune, essendo stata per una ventina d’anni nell’agro romano.
Dicono che la madre dell’inferma era pazza, pazzo è anche il fratello, il quale a sua volta ha procreati tre figli, di cui due dementi, l’uno maschio è stato già ricoverato in cotesto manicomio di Teramo, e l’altra femmina morta nello stesso manicomio nell’anno 1893.
Si è potuto solo sapere che da parecchi anni prima di contrarre matrimonio soddisfaceva in maniera eccessiva ai piaceri sessuali con persone dell’altro sesso.
Occupazioni predilette: quasi il dolce far niente.
Pare la malattia siasi manifestata d’improvviso; l’inferma divenne girovaga, devastando le campagne, cantando, urlando, ora ignuda, ora più o meno vestita, spesso offrendo la sua carne ad ignobili satiri. Tali accessi di durata più o meno lunga erano intercalati da periodi di quiete, in qualcuno dei quali mostrava di vergognarsi delle turpitudini commesse. Dopo tre o quattro anni di tale stato, entrò in una tale calma che si maritò e senza dare ulteriori sintomi di pazzia stette così per altri quattro o cinque anni, finchè recossi col marito nell’agro romano, dove non si conosce cosa avesse fatto.
Presentemente l’inferma è calma; preferisce di rimanere sdraiata sul giaciglio; ha una specie di ripugnanza alla pulizia del corpo; mangia con buon appetito qualunque cibo le si appresti, ma rare volte lo richiede. Talora presenta dei leggieri delirii che però si estrinsecano più per ideorrea con incapacità a star ferma nelle quattro estremità.
Conserva memoria della maggior parte delle cose passate più o meno lontane, ma talora pare che abbia dimenticato tutto. I generale c’è un po’ di ritardo nell’intelligenza.
La sfrenata libidine la rendeva molto e spessissimo oggetto di scandalo per la pubblica morale. Qualche volta minacciava anche i parenti.
Si è riconosciuta la necessità di allontanarla dal ritorno in questo comune ai primi di agosto.
Cura: da alcuni restauratori della morale pubblica e della scienza psichiatrica dei nostri siti veniva assoggettata durante gli accessi maniaci alla solitudine, digiuno, capestro e flagello!
Sante P.
27 anni, celibe, contadino, Loreto Aprutino, cattolico, analfabeta, DEMENZA PRECOCE (tipo ebefrenico? Al procuratore del Re si è fatta diagnosi d’imbecillità con accessi di eccitamento) entra nel sett. 1905, esce per esperimento nell’ott. 1907 riconsegnato al fratello.
Eredità pressochè negativa. Zia materna e cugina materna presentarono lievi affezioni mentali. Sembra che il cambiamento della personalità siasi verificato nel 1897 in seguito alle febbri malariche. Divenne preoccupato, serio, irascibile, pauroso.
Il cambiamento suddetto si è sempre accentuato. Si manifestarono allucinazioni paurose con desiderio vivissimo di morire. Stette tre giorni senza mangiare. Ha avuto anche recentemente periodi agitati e insonnia.
Deficiente. Intelligenza scarsa. È stato a scuola senza apprendere nulla. Carattere timid
Diario clinico
Giovane di robusta costituzione, biondo, occhi cerulei (…) Ha aspetto pauroso. Dice trovarsi bene qui, per essere curato. È alquanto confuso. Dice non ricordare nulla del passato.
Indifferente, tranquillo, sorridente. Dice che sente freddo, non manifesta alcun desiderio, lavorio mentale quasi nullo. Domandato sui fatti passati risponde che non ricorda (…)
Racconta che in America vide rovinare un pezzo di strada, ciò lo impressionò moltissimo; da allora ammalò ed ora vede sempre la medesima cosa.
È ingrassato, fannullone, infastidisce i compagni.
Stato Informativo dell’Alienato
Essendo nel 1894 andato nelle Puglie a lavorare, il P. fu colto da febbri da malaria assai ostinate che ripetendosi per circa tre anni residuarono una notevole cachessia.
Il P. ha frequentato in modo irregolare per più anni le scuole elementari, senza riuscire ad apprendere che a scrivere la propria firma. Malgrado che sia stato adibito presto ai lavori campestri e siasi nutrito malamente, il suo sviluppo si è compiuto abbastanza bene. Non abusò della masturbazione né degli alcoolici costumando di frequentare le cantine solo nei giorni festivi, come vogliono in genere i nostri contadini. Di temperamento eccessivamente timido, abitualmente di poche parole, era di naturale allegro ed anche buffone. Posteriormente alle febbri da malaria divenne più timido, eccessivamente serio, irascibile, violento colle persone di famiglia e spesso preoccupato. Non scherzava più coi compagni di fatica (…) Abbandonò anche l’abitudine di passare nei giorni festivi il pomeriggio nelle cantine e nel suo intelletto cominciarono a fissarsi anche delle idee paurose. Così evitava di attraversare una strada prossima alla sua casa, strada che poggiando nella volta di un forno gli faceva temere che questo dovesse sprofondare e travolgerlo nella sua rovina; non frequentava più la chiesa per paura delle tombe che erano sotto il pavimento. Non passava vicino ad un fondaco che conteneva molto grano perché riteneva che il peso di questo doveva sicuramente far sprofondare il fondaco medesimo. Nello scorso anno queste idee a contenuto pauroso lo molestarono anche nelle ore di lavoro, fino a costringerlo a lasciare il lavoro incominciato e a tornarsene a casa. Avendo già un fratello all’America del Nord, allo scopo di allontanarsi dal proprio paese, in cui tanto soffriva, emigrò agli Stati Uniti, ove si riunì al fratello per lavorare da bracciante. Non ne ebbe però alcun sollievo, perché anche colà non poteva togliersi di mente le sue idee paurose, ed a nulla giovavano i conforti che gli porgeva il fratello, il quale cercava di convincerlo che nessuno mai lo avrebbe obbligato a tornare al proprio paese e che quindi non aveva alcuna ragione di temere ciò che a torto gli faceva paura. Nei principi dello scorso marzo, mentre si radeva la barba davanti ad uno specchio, che già da tempo era divenuto un nuovo oggetto di paura, sembrogli di vedere in esso l’immagine di un tale che gli veniva incontro e lo bastonava fieramente. Per questa allucinazione nacque nell’organismo dell’infermo un senso di grande dolorabilità di tutta la persona, di immensa spossatezza, per modo che non si ritenne più capace al lavoro, che abbandonò definitivamente. Stette così in un’inezia assoluta, fino al passato giugno; ed allora il fratello, visto che non migliorava, dopo aver consultato diversi medici, dietro il consiglio di questi, lo ricondusse in patria. Qui alla paura si unì anche un vivo sentimento di vergogna del proprio stato e perciò il P. è vissuto in questi ultimi mesi quasi sempre in casa (…)
Lettera di Sante P.
1° Giugno 1907
Carissimo Signor Direttor Roscioli di quella domanda che ti ò fatto giorno 23 del mese scorso mi stai a ignorare come un ragazzetto trattarmi da stupido. Dunque quel giorno che e venuto tutti gli appartenenti dello spedale non ti o parlato per non ti stufare. Voi mi disse che era corrisponsabile il dottor Pierannunzio e per di più ce lo detto anch’io (…) con 21 mesi che io ò stato in questo ricovero. Dunque se lei mi mandate in campagna posso fare anche qualche servizio. Ti farò sapere pochi giorni a dietro e venuto il signor Di Nicola per scegliere due amalati per portarli in campagna. In quella sera mi sono fatto avanti credendomi che ci andavo invece disse che non era lui corrisponsabile di mandarmi in campagna senza la parola della vostra Eccellenza.
Vi saluto e mi segno P.
Sante
Livio C.
24 anni, celibe, Giulianova, benestante, recidivo (2° ammissione), DEMENZA PRECOCE, entra nel giugno 1919, ammissione definitiva nel sett. 1919, esce migliorato in prova nel sett. 1920 consegnato al padre.
fu altra volta in manicomio dal quale uscì in esperimento nel febbraio 1917. è stato quasi sempre discretamente, mantenendo però un contegno sempre strano. Da qualche tempo è di nuovo eccitato e si è reso quindi pericoloso per sé e per gli altri.
I^ AMMISSIONE
Trasferito dall’ospedale militare di Imola, Cap. Mag. Riformato, entra nell’ott. 1916, esce in prova nel febbr. 1917
Diario clinico (dall’ott. 1916)
Nella giornata di ieri sette relativamente calmo, silenzioso, ubbidiente (…) Durante la giornata ha passeggiato silenzioso ed ha cercato sempre di tenersi appartato dagli altri. (…)
Stamane è agitato, e piange, piange, piange sconfortato e quasi allucinato. Non risponde affatto e non vuol dire perché si dispera. Dopo qualche tempo ha cessato di piangere e si è posto a mangiare un pezzo di pane (…)
Dal padre:
nulla di ereditario (…) il paziente non ha mai sofferto malattia alcuna. È studente di ingegneria all’università di Torino. Nel 1914 fu arruolato soldato di fanteria: fu in trincea col 122 per un mese o poco più. Quindi passò in sanità e fece servizio nei reparti di medicazione avanzati per circa un anno. In primavera 1916 ebbe a soffrire di infezione intestinale (?) in seguito alla quale divenne denutrito ed emaciato. Guarito dette l’esame di chauffer poi torno in sanità. Un medico dice che prima non aveva nessun segno di malattia mentale. Improvvisamente a Latisana in settembre ha dato segni di squilibrio mentale a forma di idee persecutive. Per 15 giorni ebbe a rifiutare il cibo. Fu inviato a Bologna poi andò ad Imola dove fu fatta diagnosi di demenza precoce (…)
Ha qualche dubbio sulla salute delle sorelle, che egli riteneva morte per mano dei soldati oppure che fossero diventate delle donnnacce.
Fin qui ha ritenuto che il Direttore fosse un grande francese e che il sig. che lo accompagnava (il De Fabritis) altri non fosse che Poincarè, il quale lo avrebbe visitato perché era diventato senatore e il suo cervello si era andato ingrossando ed evolvendo di continuo (…)
Al fronte dice di avere bevuto e fumato esageratamente.
Vi è evidente tendenza alle idee persecutive.
(…) menzognero oltre ogni dire afferma che non lo si nutre a sufficienza (mentre è notevolmente ingrassato), che non gli si dà da fumare, mentre l’ho sorpreso più volte colla sigaretta in bocca entro l’infermeria (…)
dal padre si viene a sapere che il malato gli ha detto di essere stato malmenato a S. Giorgio di Nogaro, a Bologna, ad Imola ed in treno.
Dimesso in esperimento.
Relazione medica dell’ospedale militare di Imola
Ottobre 1916
Mancano esatte notizie sui precedenti ereditari ed anamnestici: trovavasi al fronte quando fu inviato all’ospedale di Latisana per disturbi psichici minutamente descritti e simili a quelli osservati in questo Reparto Psichiatrico. È lucido ed orientato, tiene contegno stolido all’eccesso: a volte presta sufficiente attenzione rispondendo con sufficiente esattezza alle domande, dando precisi ragguagli della sua vita militare non caratterizzata da eccessiva incuria del rischio e pericolo di guerra. A volte si chiude in ostinato e assoluto mutismo, a volte piange lungamente senza motivo e senza lacrime, a volte anziché rispondere fa discorsi sciocchi, sconclusionati dai quali emergono idee deliranti di persecuzione e di autoaccusa; spesso anche traduce tali idee deliranti in lunghe lettere che indirizza al Re, al Papa, alla Regina, a Cadorna informando che si trova sul letto di morte, domandando perdono di aver servito con poca fedeltà la patria e di avere avuto paura di Francesco Giuseppe accusandosi e chiedendo perdono di furti, bestemmie, desiderando per penitenza di morire di fame. A volte in realtà rifiuta il cibo ostinatamente, si chè bisogna ricorrrere all’alimentazione colla sonda: assume atteggiamenti assurdi ed è spesso evidentemente in preda a fenomeni psicosensoriali ed adotta l’espressione mimica e gli atti suoi al contenuto e al genere di allucinazioni; è indifferente all’ambiente e completamente inaffettivo. Dorme poco, non è sudicio. Riconosciuto affetto da demenza precoce, prosciolto da ogni obbligo di servizio militare, perché si ritiene pericoloso, si invia al manicomio della propria provincia
II^ AMMISSIONE
Diario clinico (dal giugno 1919)
Fu ricevuto ieri sera ed è rimasto tranquillo quasi tutta la notte. Non ha profferito parola dal suo ingresso, né ha risposto ad alcuna domanda: ha domandato solamente i pantaloni e pel rimanente si esprime con atti: ad esempio non volendo le pantofole le ha lacerate. Ora passeggia in mutande e scalzo su per giù nell’infermeria e guarda con occhio torvo e minaccioso chiunque lo avvicini. È in buone condizioni fisiche.
Ieri non voleva stare a letto: si alzava tutti i momenti ed andava in giro nudo per la camerata. Stanotte ha dormito (…)
È irrequieto, violento e non cessa mai di dire parole minacciose ed offensive a chi lo avvicina (…)
Tranquillo: condizioni generali buone, parla bene, dorme.
Continua il miglioramento: lucido, cosciente, tranquillo, orientato, ha coscienza netta della propria infermità e ricorda di aver minacciato seriamente i suoi prima di essere internato.
Continua a stare bene. Ingrassato. Desidera ardentemente il ritorno in famiglia (…)
È stato sempre bene: lucido, cosciente della propria infermità. Esce in prova.
Relazione medica del direttore del manicomio
C. Livio (…)
Egli ha presentato all’ingresso e durante la degenza una sindrome clinica pressochè costante con confusione, disturbi ideativi e percettivi (…) disorientamento nel tempo e nel luogo, gravi alterazioni del contegno con impulsi motori, tendenze aggressive, sitofobia. A tali manifestazioni è seguito un periodo di minore attività con manierismi, stereotipie, falsificazioni di ambienti e di persone senza reazioni degne di rilievo. Abulico, inaffettivo e con periodi di ostinato mutacismo alternati con altri di logorrea sconnessa e sconclusionata sulla base di assonanze, si è avuto anche qualche disturbo sensoriale, più in forma illusionale che allucinatoria (…)
Lettere di Livio C.
1917, gennaio 22, Teramo Manicomio
Sorelle carissime,
ardo desiderio rivedervi ammirare vostre adorate sembianze unitamente libertà. Grazie ricordo costante! Segretamente scrissi e soffrii immaginando una vita più gioconda. I miei patimenti siano di esempio alla gaia gioventù nòva come l’Italia che si ridesta per una III^ volta ad un risorgimento definitivo e virtuale nel quale come le figure dei miei compagni caduti sull’aspro Carso segnano una lunga storia di guerra mondiale, così la mia vera sofferente di mali e di pericoli. Infine alienato seriamente per un regime di vita la quale non può certamente narrarsi e dimostrarsi (…) perché molte sono le vicende e gli argomenti numerosissimi riguardanti sempre la vita di guerriero nella quale seppi distinguermi col coraggio di vero soldato italiano! Ciò non esclude che io debba tacere e non parlare bene del governo del Re che tanto ha saputo fare innanzi ad una popolazione ribella di 36.000000 di anime le quali, mal considerando le gravi conseguenze di una battaglia di durata superiore alla già prefissa da pronostici, si è ridotta a guerra seria, più seria ancora di quella che s’immagina in questo regno d’Italia nel quale diversamente si agisce, ed io parlo così perché la vita di noi fucilieri che abbiamo combattuto è del tutto differente alla vostra in genere specie quando si ricorre al sesso femminile per me non di considerazione reale.
Il freddo non mi fa scorrere la penna perciò il pensiero è confuso.
I miei baci sperando di presto riabbracciarvi
Vostro affmo fratello
Livio
1917, Teramo, 24 gennaio, Manicomio
Maria Carissima,
ora che sono guarito e che mi ricordo di tante vicende liete e tristi mi sovviene alla mente le famose cartoline che t’inviavo le quali, benchè fossero di ingenua e moderna pittura pur avevano un certo senso di arte squisita. Non potei inviarti le altre che regalai ai miei compagni avanti di partire dal fronte e certe altre rimasero nel mio studiolo di Latisana insieme ai libri di chimica e di matematica. Colgo l’occasione per ringraziarti del portafogli che tanto accuratamente hai lavorato (…)
come vedi stento a scrivere a causa di non aver più preso la penna e di questo senso di alienamento ne è colpa la guerra attuale nella quale molto soffrii.
Fui legato e maltrattato a Imola a S.Giorgio di Nogaro perché il mio encefalo (cervello) esaurito dalle fatiche di guerra ed impressionato dal ritmo mortale per un periodo di guerra di quattordici mesi non indifferente accoppiato con l’avanti-guerra, vita di campi e sofferenze non esclusa se ti ricordi la marcia di km 110 da Ascoli a Castellammare Adriatico quando passai a casa, vero?
Mi volevano dare la medaglia e premi di guerra che il Re e S.M. la Regina la quale a Latisana tanto mi soccorse, ma io non ci aspiro, come non ho nemmeno messo né chiesto il nastrino tricolore della campagna. In considerazione matematica e logica, sono sciocchevolezze le quali forse un giorno avrebbero un pregio.
Il pregio più alto o carissima Maria è questo: ch’io a malapena sono ritornato vicino a voi mentre moltissimi miei compagni caduti nelle mie braccia giacciono ancora su quel noto Carso, su quelle alture le quali sono del tutto insormontabili per altri assalti alla baionetta ch’io pure il I° giorno dovei fare e mi salvai, se questi non vengono preparati e comandati da prodi ufficiali. Salutami le sorelle ed ossequiami suor Giuseppina e la signora maestra Antonina.
Un bacione dal tuo affmo fratello
Livio
Riepilogo della corrispondenza durante la malattia pervenuta sul fronte al Cap. Mag. Livio C. aiutante di Sanità 122° Fanteria Battaglione “Stato Maggiore” curato nell’ospedaletto da campo 84°
(copie)
Lettera 23 giugno 1916 “Zona di guerra”
Mio carissimo papà
La mia malattia è febbre intestinale e un po’d’anemia.
Si capisce che con la vita che si mena non si può sempre essere in condizione di florida salute!
Tuo Livio
Lettera 23 Giugno 1916 “Zona di guerra”
Mio carissimo papà
Io cerco di guarire al più presto possibile perché prolungandosi la malattia correrei il rischio di essere internato in Italia e quindi cambierei reggimento, cosa per me disastrosa per il posto che occupo. Speriamo che tutto andrà bene e mi auguro che fra giorni ritornerò al mio vecchio posto.
Tuo Livio.
Lettera 28 Giugno 1916 “Zona di guerra”
Mio carissimo papà,
dopo tante sofferenze, la febbre che nei primi giorni oscillava ai quaranta gradi ora è scomparsa completamente, e spero che fra giorni guarirò. Per diciassette giorni ho bevuto solamente latte ed oggi ho cominciato a mangiare un po’ di semolino.
Imagina come sono ridotto dopo questa cura, durante la quale ho dovuto ingoiare ben undici purganti per disinfettare il mio intestino. Ho pregato il Dottore che mi cura per non farmi internare in Italia, ed il perché te lo spiegai nella mia ultima. Ti confesso che non vedo l’ora di ritornare a reggimento sempre riferendomi al medesimo punto di vista or ora enunciato, e se tu sapessi quanti difficili problemi si presentano mi daresti ragione.
Prima di essere stato inviato all’ospedale, volgarmente parlando, passai dei brutti momenti; per quattro giorni fummo bersagliati dall’artiglieria nemica tanto che di notte dovemmo sloggiare dal nostro piccolo rifugio per salvarci la pelle poiché la situazione era criticissima.
Tuo Livio
Lettera 3 luglio 1916 – Zona di Guerra
Carissime sorelle,
finalmente sono guarito!
Posdomani ritornerò a reggimento dove mi aspetta la trincea posto glorioso per i veri figli d’Italia. Io che sento fortemente di appartenere a questa gloriosa schiera di giovani forti ritornerò senza la più incalcolabile preoccupazione benchè questi vigliacchi di Austriaci facciano uso di gas asfissianti. Vorrei trattenermi con voi lungamente, esporvi le cose reali, ragionare come sento di saper ragionare, ma in questo momento sono impossibilitato dalla mia spossatezza prodotta dalla malattia, mi accorgo che la mente non è ancora del tutto tranquilla, perciò ad altra epoca speriamo più (illeggibile) i bei ragionamenti.
Livio
Lettera del 31 Luglio 1916 – zona di guerra
Mio carissimo papà
Partii dalla fronte ammalato e coll’animo agitatissimo; spero che un po’ di calma e vita regolare siano gli enti sufficienti per la guarigione, perché presentemente ho peggiorato di molto, tanto che il Dottore del 122° avanti di partire mi consigliò di sottopormi a qualche cura e ciò a prevedere la nevrastenia che tenta sopraffarmi.
Tuo Livio
Lettera 7 Agosto 1916 “Zona di Guerra”
Mio carissimo papà
Ti assicuro che in questo lungo periodo di tempo ho fatto più di quello che ho potuto per la grandezza della bella bella Italia; la mia gioventù, la mia salute, la mia pace e la mia opera l’ho data completamente a lei perché l’Austriaco sovrano si ritirasse nei suoi confini geografici. Ora sono un povero matto; non ho più salute, né pace, il mal di capo non mi lascia un minuto, l’impressione del flagello non m’abbandona mai e la notte svegliandomi di soprassalto piango o urlo a seconda dei casi. Non ridere di questo racconto perché è la confessione reale di chi si sente affetto e pensa, che per vero miracolo non sono morto su quelle rocce, specialmente nell’ultimo periodo.
Tuo Livio
6 Agosto
Mie carissime sorelle,
dopo quattordici mesi di fuoco continuo, di ansie, di sofferenze, di mortale trincea, finalmente l’animo mio riacquista la perduta tranquillità e penso a voi perché per voi vivo.
Bacioni Livio
Lettera 17 Agosto 1916 – Zona di guerra
Mio carissimo papà,
affranto della vita di quattordici mesi, vissuto in quel campo di dolore, di gemiti, di morte…
non si arriverà mai a descrivere la realtà di simile flagello come nessun pittore eguiaglierà mai la soave natura.
Trovomi nelle stesse condizioni di un esaltato che uscito dal manicomio non ragiona, non ricorda, non trova tranquillità in nessun luogo pel disorientamento del cervello, il quale impoverito dalle paure, dal pensiero dei cari, e il suo sistema nervoso esaurito da un così aspro regime di vita, vivendo in un nuovo ambiente di tranquillità relativa maggiormente risente le sofferenze passate proprio quando la tempesta infuriava quando la morte tentava rapirmi!
Poiché su questo argomento molto dovrei dire lo tralascio colla ferma decisione di non volerlo più discutere (almeno per ora)
Tuo Livio
Scritto di un commilitone di Livio C. ai genitori
Monfalcone 28-11-916
Egregio Signor C.
Mi pervenne in questo momento la sua carissima e graditissima lettera e mentre mi allieta tanto il ricordo suo e della sua famiglia, pure ho provato e provo il più gran dolore nel conoscere lo stato presente del buono ed amato suo Livio e nell’ansia continua e dolorante nella quale vivono ella ed i suoi. E ciò che mi ha addolorato maggiormente e più fortemente, producendo nell’animo mio enorme impressione, è il fatto che io lo sapevo in ottimo (almeno relativamente) stato di salute, calmo, tranquillo, lontano dalla linea di fuoco, e contento come lei mi scriveva tempo fa, del nuovo posto e della nuova occupazione (…)
Ora la sua dolorosa notizia ed i suoi particolari mi rendono assolutamente pieno di impressione e di meraviglia, ripensanso quale e quanta trasformazione fisica, psichica ed intellettiva abbia subito e sia andato incontro il mio Livio in questi ultimi tempi. Le assicuro colla più grande sincerità che mi sono sentito male sapendo quel ragazzo in codeste condizioni, lui così intelligente, attivo e di animo elevato e buono. Ella vuol sapere da me come suo figlio si è comportato stando al reggimento durante i sei e più mesi di mia presenza al suo battaglione. Le risponso subito che dato il suo carattere ed il suo modo di pensare, io non potevo assolutamente pensare che potesse incorrere in questo male. Questo perché mi han dato sempre la più chiara impressione della sua psiche il carattere mite e la sua vita normale. Il suo carattere docile e buono lo rendeva oltre che ubbidiente anche zelante alle occupazioni, al lavoro ed al dovere. L’animo suo e la sua mente elevate ed educate lo rendevano irreprensibile e per me era un amico devoto (…) Con i miei superiori è stato sempre educato, corretto e non ha avuto mai che fare e vedere né ha subito rimproveri alcuni. O si è fatto notare in vista per anormalità. La sua psiche era assolutamente normale ed il suo morale irreprensibile.
La guerra, le avanzate, i bombardamenti cui prima di me e poi con me ha assistito, lo eccitavano e gli incutevano nell’animo timore. Ma è quella paura che ognuno ha del pericolo che gli sovrasta ed in mezzo al quale bisogna esserci e resisterci collo scampo della vita o colla morte. Ma dopo colla calma ritornata anche lo spirito suo – quantunque io sovente gli infondessi coraggio e calma – ritornava tranquillo e soleva dire a me spesso: signor Tenente che guaio che abbiamo passato nevvero? Io ridevo e spesso gli dicevo: sai che noi non moriremo in questa guerra? Lui pure rideva con meraviglia e accendeva una sigaretta. Può darsi che quel nervosismo abbia teso alquanto i suoi centri nervosi; che sia aumentata da una parte, mentre dall’altra diminuiva la resistenza fisica in seguito all’infezione intestinale sopraggiuntagli nel giugno ed ai disagi sempre crescenti della vita prolungata di guerra (…)
Si è pure aggiunto – e per me è anche importante – il fatto che lui non si credeva mai guarito dalla infezione viscerale, cosa che ha naturalmente influito sul suo stato (…)
Di me che dirle? La solita vita di campo. Lavoro poco per ora e in relativa sicurezza. Qui siamo tutti i giorni e le notti visitati dagli aereoplani austriaci che ci regalano bombe. Al fato la nostra vita (…)
Aff.mo
Carlo G.